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Allenamenti in Altitudine

19 Nov 2011

Ho avuto la mia prima esperienza professionale di training camp in altitudine nel settembre 1979: 35 giorni ai 4000m del rifugio Tlamacas, sul vulcano Popocatepetl, in Messico. 
Parteciparono alla spedizione dieci atleti (8 maratoneti e 2 marciatori) di alto livello, tra loro un futuro campione olimpico e un due volte vincitore della maratona di New York. 
Io ero al seguito come medico e responsabile dei test con il collega dott. Ziglio. 
Inoltre partecipavo allo stage anche come atleta amatoriale, assieme al responsabile tecnico, Gianpaolo Lenzi, entrambi impegnati in allenamenti quotidiani di moderata intensità. 

I sorprendenti successi negli anni ’70 degli atleti finlandesi (Vaatainen, Viren, Vasala, ecc.) aveva acceso l’ interesse dei tecnici e delle Federazioni sugli effetti dell’ aumento del trasporto di Ossigeno (leggi Hb) sulle prestazioni atletiche. 

La Federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL) scelse quella soluzione logistica estrema nella convinzione che più alta fosse la altitudine, maggiori sarebbero stati gli effetti sulla produzione dei globuli rossi e dunque sulle prestazioni. 
Inoltre alcuni atleti della spedizione avrebbero potuto gareggiare alle Universiadi di Città del Messico, che si svolgevano in quel periodo. 

In realtà i risultati non furono quelli sperati. 

Il rifugio Tlamacas era di nuova costruzione, abbastanza confortevole, ma pur sempre un rifugio di montagna, con camerate e servizi in comune, sicuramente poco adatto ad un soggiorno così prolungato . 
Una alimentazione adeguata e la sicurezza dei cibi e bevande erano un problema. 
Ma la difficoltà più grande era la organizzazione degli allenamenti: a 4000m non erano possibili intensità oltre le andature da jogging o camminate in salita sulle pendici del vulcano, come del resto facevano, 3 volte a settimana, i forti marciatori messicani di allora. 
Per gli allenamenti occorreva scendere (1h di curve in pulmino) ad Amecameca, un piccolo paese a 2600m di altitudine: anche qui furono necessarie due settimane di adattamento alla quota prima di poter svolgere intensità appena discrete. 
Città del Messico era ad un altitudine leggermente inferiore (2200m) ma richiedeva oltre 2 ore di viaggio: si andava una volta a settimana, per l’esecuzione dei “test Conconi” su pista. 
Non era possible scendere ad altitudini inferiori. 

Tre atleti, dopo 2 settimane di stage, gareggiarono nei 5000 e 10000 metri alle Universiadi con risultati disastrosi, doppiati dai rivali europei arrivati in altitudine pochi giorni prima. 
Al ritorno in Italia alcuni ottennero discreti risultati in competizioni nazionali e internazionali, ma altri fornirono prestazioni negative o attraversarono un periodo di crisi psico-fisica. 
Le concentrazioni di Hb non erano aumentate in modo significativo. 

Gli unici ad avere avuto benefici evidenti in termini di prestazione eravamo io e il tecnico, correndo ad intensità moderata: dopo la trasferta la nostra soglia anaerobica era cresciuta del 8% e del 12% rispettivamente, con aumenti della Hb di 1.5 e 2.0 g%. Anche le nostre prestazioni in gara migliorarono sensibilmente. 

Nonostante i risultati non esaltanti dell’ esperienza messicana, mi convinsi che l’ allenamento in altitudine, con opportuni e necessari accorgimenti, poteva essere molto utile nella preparazione degli atleti e negli anni successivi misi a punto protocolli via via più efficaci. 

Negli anni ’80 partecipai a numerosi training camp in altitudine, soprattutto con Francesco Moser nella preparazione dei suoi tentativi di Record dell’ Ora: in Messico e in Colombia (Bogotà). 
In tutti i casi l’altitudine di allenamento era compresa tra 2200m e 3000m e non era possible pedalare a quote inferiori. 
Questo limitava la intensità di allenamento e rendeva più difficoltoso il recupero dei carichi di lavoro, nonostante la attenzione prestata nella alimentazione (adeguato apporto proteico e di ferro) e nel riposo. 
Il problema principale che si manifestava nei primi 8-12 giorni era la mancata risposta della frequenza cardiaca alle intensità medio-alte: nonostante gli sforzi dell’ atleta la FC non saliva oltre 140-150 pulsazioni e le prestazioni cronometriche (allora non esistevano i misuratori di potenza) regredivano. 
Ciononostante, seppure con non poche difficoltà di adattamento, inserendo opportuni giorni di riposo, i risultati dei training camp furono generalmente positivi. 

Negli anni '90 rafforzai la mia convinzione sui vantaggi dell’ altitudine nella preparazione degli atleti e dei ciclisti in particolare: lo stimolo ipossico, presente sia a riposo che sotto sforzo, se opportunamente gestito induceva miglioramenti che andavano al di la del semplice aumento della massa emoglobinica . 
Un aumento della efficienza degli scambi respiratori polmonari, della mioglobina e dei mitocondri erano probabilmente in gioco: non so quantificare in che misura, ma il risultato finale era evidente. 
Ricordo il training camp con Tony Rominger a Vail (Colorado) nel 1993, in preparazione al TdF di quell’ anno: ricevemmo visita di un giornalista svizzero, Matthias Erne, che manifestò la sua sorpresa per il fatto che Tony preparasse il Tour in altitudine, in piena epoca “Epo”. “Naturlich wird gedopt, es interessiert mich aber nicht, was andere machen” fu la mia risposta e anche il titolo della lunga intervista. 
Rominger in quel TdF ottenne il secondo posto, suo miglior risultato di sempre, rivaleggiando con Indurain nonostante molta sfortuna nella prima settimana di gara. 
Ma anche Vail non era la soluzione ideale di allenamento per il ciclismo: strade larghe e non sufficientemente ripide e ancora una volta scendere sotto i 2000m di quota richiedeva lunghi trasferimenti. 
Inoltre era sempre presente, come in Messico e Colombia, il problema del fuso orario 
che aggiungeva problemi di adattamento, sia in andata che al ritorno in Europa. 

Finalmente dal 1999 ho individuato, in Europa, la località ideale per training camp in altitudine, specie nei mesi invernali e primaverili per ciclisti di alto livello: il vulcano Teide, a Tenerife. 
L’ Hotel Parador è situato a 2100m di altitudine, in una zona priva di vegetazione, all’ interno dell' arcaico cratere (vecchio di 2 milioni di anni), enorme catino di circa 30 km di diametro all’ interno del quale c’è una strada vallonata di 35 km che rimane tra 2000 e 2300m di altitudine. 
La zona è raggiungibile da 5 diverse direzioni, con salite di 30-40km che salgono dal mare, con pendenze variabili e sull’ isola si trovano numerose altre salite più brevi e ripide a quote inferiori. 
Ci sono percorsi vallonati a 300-600m di altitudine. 

Negli ultimi 10 anni ho organizzato decine di training camp sul Teide e i risultati sono stati quasi sempre molto buoni . 
Ho confrontato i miglioramenti di Soglia Anaerobica (misurata a 600m di quota) al termine dei camp in altitudine con quelli al termine di camp della stessa durata (2 settimane) a livello del mare effettuati negli stessi periodi dell’ anno (gennaio-febbraio): gli atleti che si erano allenati in quota sono migliorati mediamente del 16.2%, mentre per quelli allenati a livello del mare il miglioramento medio è stato del 7.9%. 

Dopo oltre 30 anni di esperienze di allenamento in altitudine credo di avere individuato i criteri di valutazione del Training Camp ideale: 

- l’ altitudine di soggiorno deve essere tra i 2200 e i 2600m slm: quote inferiori a 2000m non costituiscono uno stimolo ipossico significativo, mentre altezze superiori ai 2700m non consentono un adeguato recupero nelle ore successive all’ allenamento 
- i percorsi devono permettere di allenarsi anche a bassa quota 
- pendenze e lunghezza delle salite adeguate al livello dei ciclisti 
- durata del TC compresa tra 12 e 18 giorni: periodi più corti sono poco efficaci, mentre soggiorni più lunghi sono mal sopportati psicologicamente dagli atleti 
- la sistemazione logistica deve essere sufficientemente confortevole, deve consentire orari flessibili per i pasti e un’ alimentazione adeguata, nonchè locali dedicati al massaggio e al deposito delle biciclette.

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