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CIRC

21 Mar 2015

Qualcuno lo ha già definito “cortina fumogena per nascondere il fallimento della WADA”, a me il voluminoso Rapporto è sembrato parziale, deludente, storicamente carente, oltre che una sorta di incoraggiamento (e informazioni) per chi voglia continuare a doparsi.

 

La Commissione Indipendente (?) per la Riforma (?) del Ciclismo si preoccupa prima di tutto di escludere fenomeni di corruzione da parte di Armstrong verso la UCI, evitando però di ascoltare Floyd Landis, testimone chiave di parte della vicenda ed accogliendo versione e documenti forniti direttamente dall’ UCI: la stessa CIRC ammette infatti a pag. 17 che è la UCI che ha trasmesso loro le informazioni sul caso per via elettronica.

 

Dopo una breve carrellata sul significato del “being clean”, “culture of doping”, “omertà” e “cheating”, il Report sciorina una incompleta storia delle pratiche dopanti, partendo dal brandy e champagne nelle borracce, passando per gli stimolanti, per arrivare alle trasfusioni e all’ EPO, ma minimizzando l’ era di cortisone e anabolizzanti (anni 70 e 80) che ha largamente coinvolto questa generazione di atleti.

Dopo aver riportato le solite storiche balle della “morte di 18 (!!) ciclisti europei alla fine degli anni 80 a causa dell’ EPO”, dei “ ciclisti che pedalano nel cuore della notte per attivare la circolazione” e attribuito a “sintomi tipici di overdose da EPO” l’ episodio PDM del 1991, a pag 48 descrive accuratamente metodologie dopanti, dosaggi, informazioni logistiche utili a chi voglia cominciare/continuare pratiche doping.

Il Report sfiora appena i controversi casi doping al TdF di Landis (2006) e Vinokuorov (2007), ma non commenta né indaga come mai, nel caso del Kazako, la Magistratura Francese non si sia occupata della vicenda (a differenza di tutti gli altri casi di doping al TdF): forse perché consapevole che le prove del NON-DOPING da trasfusione omologa rimanevano nel corpo del corridore per 120 giorni (tanto vivono i globuli rossi).

Il ruolo di Anne Gripper nella vicenda è ritornato di attualità nella recente intervista concessa a Cyclingnews.com dalla ex responsabile antidoping dell' UCI : “…he (Pat McQuaid) encouraged me to do what I needed to do to make sure that the anti doping programme remained strong”…

 

Il Rapporto afferma che “almeno 69 (doping) doctors tra il 1985 e il 2014 hanno agevolato il doping di ciclisti”, ma naturalmente fa i nomi dei soli e soliti noti: Ferrari (sopratutti, nonostante a pag. 50  il “doping” del Dott Ferrari sia riferito come “conservative”, cioè “cauto – prudente”), Fuentes, e Leinders.

 

Dopo aver ricordato che hanno testimoniato solo corridori coinvolti in fatti di doping, spesso nella speranza, a volte vana, di sconti di pena, al quesito di quanti ciclisti oggi ancora si dopano la risposta è : “tra il 20 e il 90 %“!!

Come dire: non lo sappiamo…ma, nonostante gli sforzi, propaganda e denari (molti) spesi il risultato è sempre lo stesso, ammettendo di fatto l’ ennesimo fallimento di un Sistema che opera da mezzo secolo.

 

Poco oltre, a pag 58, rivela di come il costosissimo passaporto biologico ABP, “fiore all’ occhiello” della lotta al doping, non sia in grado di evidenziare micro-dosi di EPO e microtrasfusioni e racconta di come esistano nuove sostanze dopanti, proibite e non (ancora) incluse nella lista, “dimenticando” però le due più pericolose: il Cobalto e l’ Ossido di Carbonio, oggi di grande attualità.

 

Nelle pagine successive descrive presunti episodi che fanno parte di un’ indagine (Padova) che, a distanza di 5 (!) anni dal suo inizio, non è ancora conclusa, che riguarda principalmente il sottoscritto.  

A pag. 67 descrive di come “un ciclista, positivo all’ EPO nel 2013, abbia ricevuto la sostanza da un ciclista amatoriale che lavora in una farmacia del nord Italia e che in un passato remoto sarebbe stato da tramite per una consulenza tra il Dott Ferrari e il ciclista professionista, servizio che sarebbe stato ricompensato con la consegna di sostanze dopanti a Ferrari“.

Storia che liquido fin da subito come “bufala colossale”, completamente inventata.

Per completezza il Rapporto riferisce anche che il ciclista amatoriale di cui sopra ha “rifornito  sostanze a ciclisti di ben 4 team professionistici” (naturalmente senza nominarli).

Così come l’ anonimato viene garantito a “Team Manager, Direttore Sportivo e Nutrizionista di un Team ProTour che avrebbero suggerito ad alcuni corridori un programma doping: 1000 ml (!) di EPO Zeta ogni due giorni, alle 11 di sera, alternate con HGH e Lutrelef”, con successiva ben dettagliata riduzione dei dosaggi.

Informazioni su come evitare /mascherare la positività ai controlli sono ulteriormente dispensate a pag. 68.

 

A pag. 85 un fugace accenno al “Technical Cheating”: telai, selle, tubolari, indumenti, mentre solo mezzo rigo è dedicato a “motors in frames”, quando questo problema esiste da 10 anni, mentre la UCI non ha mai dedicato un solo commento a vicende ben conosciute.

 

A pag. 122, a proposito delle accuse rivolte da Rasmussen al responsabile antidoping del' UCI Dott. Mario Zorzoli, la Commissione giudica “inaccettabile “ la fuga di notizie di queste gravi accuse prima che queste siano state completamente indagate (naturalmente da loro): giusta affermazione garantista che sembra riguardare solo il Dott. Zorzoli, “onesto esperto scienziato”.

Anche le accuse, largamente riportate dalla stampa, di Landis a Martial Saugy (Laboratorio di Losanna) sono da censurare (pag. 144) quando non sufficientemente investigate in accordo al codice WADA a tutela della “Lotta al Doping”, salvo poi evitare, senza spiegazioni convincenti, di ascoltare lo stesso Landis sulla vicenda.

A pag 161 la Commissione affronta l’ episodio di cui sopra: Armstrong “positivo” al Tour de Suisse del 2001, liquidando la faccenda con il semplice “strong suspicion of the presence of rEPO“ riportando % di banda basica sotto l’ 80%, limite allora necessario per decretare la positività del controllo. Lo stesso Saugy dichiarava che nel 2001 il limite era appunto dell’ 80%, ma che questo limite era spostato all’ 85% dal 2002 al fine di evitare il rischio di falsi positivi (il laboratorio di Parigi già nel 2001 aveva alzato il limite all’ 85%... a conferma dei dubbi su un limite troppo frettolosamente accettato dal laboratorio di Losanna).

Bene, io ricordo il contenuto della telefonata che nell’ occasione mi fece Bruyneel: mi riferì di un 82%, risultato che, con le regole di allora, doveva essere considerato (a torto o a ragione) come un test positivo.

Ma evidentemente, vuoi per salvare Armstrong, vuoi per proteggere il neonato test EPO, l’ UCI decise di archiviare, così come il CIRC a pag. 165: “Armstrong did not test positive for EPO during the 2001 Tour de Suisse”, come invece avevano dichiarato Hamilton e Landis nei loro affidavit USADA (testimoni evidentemente “attendibili” per altre accuse, ma non per questa).

 

A pag. 190 CIRC racconta come si sarebbero svolti i fatti della rivelazione dei test EPO di Armstrong al tour 1999, avvenuta subito dopo il suo vittorioso TdF del 2005: una squallida storia di sporchi giochetti, dimenticando di ricordare che chi inviò (illegittimamente) i codici di identificazione dei tests al giornalista fu il Dott. Mario Zorzoli, responsabile dell’ antidoping UCI.

Non conosco personalmente il Dott. Zorzoli, ma ho già raccontato di come fece “sparire”  tests ematici del Passaporto Biologico di tre atleti Liquigas che si allenavano sul Teide nel 2010, in quanto giudicati dal Medico di Squadra suo amico “poco attendibili” e insidiosi per il profilo ABP dei corridori.

 

Il report termina con l’ auspicio che siano introdotti “test notturni” per individuare eventuali “microdosi” in atleti con “serious and specific suspicion”, naturalmente individuati dall’ imparziale UCI.

Prontamente il primo della "Lista dei Buoni", Chris Froome, si dichiara disponibile: “we must do everything to tackle doping“.

Vedremo in futuro se confermerà anche la disponibilità alla esplorazione rettale quando sarà (speriamo di no, ma non si sa mai) richiesta dall’ UCI nell’ ambito della Sacra Guerra al Doping…

 

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